Intervista con Adji Dieye

Giacomo Pigliapoco

Nell’opera Untitled Black, Cultura Persa e Imparata a Memoria prendi spunto dallo studio e reperimento delle fonti dall’archivio nazionale iconografico Senegalese e dal tuo archivio personale di immagini. Come comunicano tra loro?

Adji Dieye

Nel progetto Culture Lost and Learned by Heart, ho avviato lo sviluppo di una serie di installazioni, come Untitled Black, con l’intenzione di creare una piattaforma di osservazione sulla costruzione dell’epistemologia di una nazione attraverso le sue istituzioni e la sua architettura. Nel mio impegno iniziale con gli archivi iconografici nazionali del Senegal nel 2019, ho iniziato a considerare come questi materiali potessero essere utilizzati per porre domande relative allo stato attuale del Senegal e, più in generale, all’interno della società. Anziché avvicinarmi ai materiali d’archivio come a una narrazione storica lineare e predeterminata, li ho visti come un regno per scrutare l’istituzione stessa, ispirandomi a Mal d'archivio di Derrida. Vale la pena notare che l’Archivio Nazionale del Senegal, istituito nel 1913 dall’amministrazione coloniale francese, ha offerto spunti intriganti sull’enfasi relativa all’esame del territorio e degli spazi urbani come strumenti di egemonia. L’enfasi era evidente nella maggior parte delle immagini trovate all’interno della sezione degli archivi iconografici nazionali, che presentavano prevalentemente cantieri. Queste immagini riflettono il paesaggio urbano contemporaneo di Dakar, dove spesso ci si trova circondati da cantieri. L’urbanità della città è diventata il punto di partenza per la creazione di un archivio personale dedicato agli spazi pubblici di Dakar. La giustapposizione delle immagini dell’Archivio Nazionale con quelle della mia collezione personale è un campo in cui esplorare un filo specifico di continuità storica. Inoltre, ha fornito un mezzo per riflettere sull’esperienza di vivere in uno spazio transitorio e in continua evoluzione, e per contemplare la costruzione intenzionale di un racconto lineare che, di per sé, non terrebbe conto di altre narrazioni storiche.

GP

Nell’opera le immagini sono stampate su un tessuto in seta. C’è per te una componente simbolica dietro a questo materiale, visto che è ricorrente nelle tue opere? Quali sono le origini dell’interesse verso questo materiale?

AD

Tornando all’esplorazione degli aspetti della società contemporanea, in particolare nel contesto del Senegal, mi è sembrato degno di nota osservare le numerose iniziative condotte dal governo cinese e dalle aziende cinesi all’interno dei confini del Senegal. Queste iniziative comprendono una serie di progetti, tra cui lo sviluppo di ferrovie, autostrade, il Museo delle Civiltà Nere e il Teatro Nazionale. È significativo notare che il Senegal è stato il primo Paese dell’Africa occidentale a partecipare all’iniziativa Belt and Road, l’attuale Via della Seta, e ha anche ospitato l’ottava conferenza FOCAC, il Forum sulla cooperazione Cina- Africa. Questa conferenza ha riunito diverse nazioni africane e la Cina per determinare i futuri impegni finanziari cinesi nei confronti del continente africano. Nell’evidenziare questi sforzi di collaborazione tra Cina e Senegal, non intendo tracciare un parallelo diretto tra la colonizzazione francese e il coinvolgimento della Cina in Senegal, perché un simile confronto sarebbe fuorviante. Piuttosto, mi interrogo simbolicamente sul tipo di superficie che una nazione sceglie per imprimere il proprio patrimonio culturale, utilizzando la seta come strumento metaforico per esaminare questo concetto. Un aspetto interessante da sottolineare riguardo all’uso della seta in questo contesto è che il materiale è stato acquistato da un’azienda di Como, in Italia. Como ha un’importanza storica in quanto parte della Via della Seta che risale al XV secolo e continua a essere oggi un importante centro globale per la produzione di seta.

GP

Quali sono le scelte che ti hanno portato a questa particolare forma e modalità di esposizione, cioè un tessuto che passa per delle rotative?

AD

Una parte significativa della mia ispirazione proviene dal mondo dell’architettura. Dato il mio interesse per la costruzione di un’epistemologia nazionale attraverso l’architettura, ho voluto riflettere questo concetto nell’essenza stessa del mio linguaggio visivo. In questo contesto, la struttura metallica funge da doppio simbolo, evocando sia lo skyline di una città sia la precisione meccanica di una macchina industriale. Proprio come gli spunti dell’architettura razionalista, vedo il mondo industriale come una fonte di fascinazione per la creatività architettonica. Così come la seta funge da superficie di stampa per un patrimonio culturale, la struttura metallica, simile all’architettura, agisce come macchinario che facilita questo processo di rappresentazione.

GP

Cosa significa l’espressione Cultura persa nel tempo e dimenticata a memoria nel titolo della tua opera?

AD

L’ispirazione per questo titolo viene dall’opera di Vincenzo Agnetti, in particolare da La cultura persa nel tempo e dimenticata a memoria è la nostra eredità genetica. Ho sempre trovato l’esplorazione del linguaggio di Agnetti eccezionalmente stimolante. Il suo lavoro richiama alla mente i koan del buddhismo zen, dove frasi piene di paradossi e contraddizioni creano uno spazio per la meditazione, evocando un regno in cui il pensiero logico non riesce a risolvere tali paradossi. Sebbene Agnetti sia riconosciuto come una figura concettuale di spicco nella scena artistica italiana contemporanea, ho sempre percepito il suo lavoro come una sfida ai limiti del linguaggio nel descrivere gli elementi fondamentali della società. A mio avviso, questo approccio di esplorazione dei paradossi e dei confini risuona profondamente con ciò che volevo trasmettere nel mio lavoro.