Intervista con Xavier Robles de Medina

Giacomo Pigliapoco

Le immagini che proponi provengono da una cultura pop riconoscibile, tratte da piattaforme online, notizie, riviste e film di culto. Attraverso un processo di appropriazione, queste immagini sono diventate parte del tuo vocabolario. Quali sono i criteri che guidano la scelta nel selezionare le immagini da rappresentare? Come ricerchi le immagini?

Xavier Robles de Medina

La prima parte consiste nel salvare tutte le immagini che catturano la mia attenzione. Lo faccio con il mio telefono, scattando foto originali, screenshot, foto di foto in archivi, libri, riviste o semplicemente scaricandole dal web. Può passare un po’ di tempo prima che mi venga in mente di dipingerle, disegnarle o scolpirle. Ovviamente c’è un elemento estremamente tecnico e questo aspetto gioca un ruolo importante anche nel considerare l’immagine. Inoltre, anche le considerazioni pratiche entrano spesso nel mix, a causa dell’intensità del tempo, ma fondamentalmente se riesco a pensare a una certa immagine riferita al momento presente, l’approfondisco.

GP

Il tuo lavoro è immensamente vasto e comprende una serie di tecniche diverse: dal disegno alla scrittura, dal film alla scultura. La natura del tuo approccio suggerisce un profondo desiderio di trovare un significato al di fuori del mondo digitale, quale potrebbe essere?

XRM

Sono cresciuto con un grandissimo artista come nonno, Stuart Robles de Medina, che era incredibilmente versatile nelle sue capacità. C’è qualcosa nella sua agilità e disinvoltura in quella versatilità che ha fatto un’enorme impressione sul mio giovane cervello, anche nel considerare cosa sia l’arte a livello elementare. È tutta la storia del Bauhaus, credo che abbia innescato la sensazione che il valore dell’arte risieda in una sorta di innovazione originale che avviene non solo all’interno di una singola opera, ma soprattutto tra le opere. So che suona antiquato, ma credo che queste idee siano state sottovalutate dal funzionamento del mercato e dal carrierismo. Dopo dieci anni di arte emergente, mi sembra una vera e propria ribellione lavorare per incarnare questa retorica e la cosa che più profondamente mi appartiene.

GP

Nelle tue opere spesso estrai l’immagine dalla sua cornice originale, spostando l’enfasi sul soggetto rappresentato. Questi soggetti sono sempre disegnati con la tecnica della grafite che la porta a ottenere un risultato monocromatico in bianco e nero. A cosa è dovuta questa scelta? Qual è il tuo rapporto con i materiali e le tecniche pittoriche?

XRM

Per molto tempo mi è piaciuto lavorare con il disegno, e in particolare con la grafite, perché ha soddisfatto una sorta di ossessione. Credo che con la grafite si possa raggiungere una profondità emotiva e un’intimità estremamente lenta e stratificata, ma alla fine molto gratificante. Ma all’inizio della pandemia ho scoperto che questo modo di lavorare non era più sostenibile, era diventato troppo soffocante e ci sono voluti tre anni prima che tornassi a disegnare, il che dimostra la stanchezza che provavo. C’è una sorta di legame coreografico tra la scrittura e il disegno, che anch’io romanticizzo, ma per quanto riguarda il bianco e nero, credo che si ricolleghi alle prime domande: di solito non mi lego a nulla in particolare.

GP

Negli ultimi lavori traduci una fotografia in un disegno, che poi viene fotografato e ritrasformato in un nuovo disegno o scultura. È un processo che ti porta a lavorare sulla fonte originale, fornendo una visione alternativa dell’originale e creando allo stesso tempo un nuovo lavoro. Questo processo dialogico, quindi, a che tipo di sensazione ti porta con l’immagine iniziale e quella finale, che ci viene rappresentata?

XRM

Penso che ci sia un parallelismo con il rapporto tra un compositore e un DJ. All’interno della mia metodologia, posso essere l’uno o l’altro, e tutti e due allo stesso tempo.